Depressione, un disturbo “contagioso”

solitudine tristezza depressione

L’ambiente in cui viviamo e le persone con le quali interagiamo influenzano la nostra esistenza, il nostro modo di osservare il mondo, il nostro umore. Forse persino più di quanto non immaginiamo.
Lo dimostra, ad esempio, uno studio realizzato presso l’Università di Notre Dame, nell’Indiana (Stati Uniti). Difatti, stando a questa ricerca, coordinata dal dottor Gerald Haeffel e dalla dottoressa Jennifer Hames e pubblicata sulla rivista “Clinical Psychological Science”, chi vive a stretto contatto con una persona depressa tende ad assorbirne il malessere, manifestando a propria volta sintomi di depressione.


Lo studio in questione ha esaminato 103 coppie di compagni di stanza, tutti studenti iscritti al primo anno. I partecipanti hanno compilato dei questionari tesi a verificare la presenza di sintomi di depressione e la loro vulnerabilità cognitiva. Quando si parla di “vulnerabilità cognitiva”, si fa riferimento alla tendenza a reagire con una certa rassegnazione alle sventure che si verificano nel corso della vita, a ritenere che gli accadimenti infausti dipendano da fattori non controllabili, dalla propria inadeguatezza ad affrontare con successo le difficoltà.
La vulnerabilità cognitiva rappresenta, pertanto, un fattore rilevante nel determinare il rischio corso da un individuo di andare incontro all’insorgenza di una sindrome depressiva.

Tornando alla ricerca, gli studenti hanno compilato dei questionari a più riprese: la prima volta, un mese dopo il loro arrivo al campus, poi a distanza di 3 mesi e, infine, di 6 mesi.
Dopo aver attentamente esaminato i questionari, i ricercatori americani sono giunti alla conclusione che i soggetti con sintomi di depressione più evidenti e vulnerabilità cognitiva più elevata tendevano appunto a “contagiare” i propri compagni di stanza, trasmettendo loro il proprio stato d’animo già dopo tre mesi di convivenza. Difatti, chi coabitava con un individuo ad alta vulnerabilità cognitiva vedeva incrementare anche la propria e faceva registrare sintomi depressivi più marcati.


Ma dallo studio emerge anche un altro dato, che potrebbe avere implicazioni terapeutiche di un certo rilievo. Se la presenza di questa sorta di contagio è innegabile, sembra esistere anche un effetto eguale e contrario, cioè una tendenza a beneficiare dell’interazione con soggetti poco inclini alla depressione  da parte delle persone maggiormente esposte a vulnerabilità cognitiva.

Secondo il dottor Haeffel e la dottoressa Hames, questo studio dimostra che la vulnerabilità cognitiva non è un fattore immutabile, ma varia a seconda dell’ambiente in cui si vive e delle persone con cui si interagisce. Quindi, nella cura della depressione, è opportuno tener conto anche del contesto sociale nel quale è inserito il paziente: maggiore sarà il contatto con persone a bassa vulnerabilità cognitiva, più efficace potrà rivelarsi la terapia.

di Giuseppe Iorio



Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *