Depressione: con meditazione o pratiche spirituali e religiose, rischio ridotto

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Decine di studi realizzati negli ultimi anni in numerosi Paesi hanno dimostrato i significativi benefici apportati dalla meditazione nei casi di depressione. Anche su questo blog ce ne siamo occupati più volte (leggi, ad esempio, qui  e qui ).

Sino a poco tempo fa, però, non era stato ancora stabilito chiaramente quale meccanismo si attivasse nel cervello di una persona affetta da disturbo depressivo quando iniziava a praticare la meditazione. A dare una risposta a questo interrogativo è stato un team di ricercatori della Columbia University, con sede a New York, coordinato dalla professoressa Lisa Miller.


Gli scienziati statunitensi hanno pubblicato le conclusioni di un loro studio sulla rivista JAMA Psychiatry, evidenziando come il dedicarsi regolarmente alla meditazione, così come ad altre pratiche religiose o spirituali, favorisca l’ispessimento della corteccia cerebrale. Una corteccia cerebrale più spessa rende meno vulnerabili alla depressione, proteggendo in particolare coloro che sono predisposti geneticamente a questa patologia psichica.

La ricerca ha visto la partecipazione di 103 individui adulti che, a seconda della propria storia familiare, erano considerato a rischio di depressione alto oppure basso. A tutti i soggetti è stato chiesto di specificare quale fosse il grado di rilievo che ciascuno di essi dava alla religione e ad altre pratiche spirituali. Successivamente, i partecipanti sono stati sottoposti a Imaging a risonanza magnetica (MRI).
In questo modo, gli studiosi hanno potuto osservare l’esistenza di una correlazione tra una più accentuata propensione alle attività religiose e spirituali e la presenza di una corteccia cerebrale più spessa.

In particolare, la corteccia era più spessa nelle aree cerebrali che risultano più sottili nelle persone considerate ad alto rischio di depressione, come spiega la professoressa Miller: “Il nuovo studio collega il beneficio protettivo estremamente consistente offerto dalla spiritualità o dalla religione a ricerche precedenti che hanno identificato un assottigliamento corticale esteso in specifiche regioni del cervello di soggetti adulti provenienti da famiglie con alto rischio di depressione maggiore”.
Da sottolineare, infine, come uno studio realizzato nel 2012 dalla stessa Miller avesse già dimostrato una riduzione del rischio di depressione maggiore pari al 90% in coloro che attribuivano grande rilievo alle attività spirituali e religiose e i cui genitori soffrivano del disturbo.


La depressione è la seconda causa di disabilità nel mondo e, secondo recenti stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), entro il 2020 questo disturbo diventerà il principale motivo di disabilità sul pianeta, scalzando le patologie cardiovascolari dalla vetta della lista.

L’incidenza della depressione è tutt’altro che trascurabile. Si pensi che, negli Stati Uniti, una percentuale della popolazione variabile tra il 2 e il 5% è affetta da depressione maggiore, e che si arriva addirittura a un interessamento del 20% della popolazione, quindi a un americano su cinque, se si considerano anche le forme di depressione più lievi.

di Giuseppe Iorio



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