Depressione, nuovi farmaci all’orizzonte

donna tristezza

I farmaci più usati per la cura della depressione sono quelli che agiscono sui livelli cerebrali dei neurotrasmettitori, la cui variazione provoca cambiamenti dell’umore. In particolare, gli antidepressivi attualmente disponibili intervengono su serotonina, dopamina e noradrenalina, determinandone un aumento del rilascio oppure il blocco della degradazione.
Insieme alla terapia farmacologica, la depressione viene curata anche con la psicoterapia, in particolare quella a orientamento cognitivo-comportamentale, che individua le idee erronee attraverso cui il paziente interpreta la realtà (“distorsioni cognitive”) e si propone di correggerle, così da eliminare le emozioni negative, e di favorire l’apprendimento di nuove modalità di reazione.


Un gruppo di ricercatori statunitensi della Loyola University di Chicago e dell’East Liverpool City Hospital (Ohio), coordinati dal dottor Murali Rao e dalla dottoressa Julie M. Anderson, ha portato a termine uno studio, pubblicato sulle pagine della rivista “Current Psychiatry”, che ha esaminato altri fattori alla base della depressione, prospettando la possibilità di nuove terapie per la cura del cosiddetto “male oscuro”.
Partendo dalla constatazione che i farmaci sopra descritti producono la remissione dei sintomi su meno della metà dei pazienti trattati, gli studiosi hanno esaminato le differenze di densità dei neuroni in diverse aree del cervello, gli effetti provocati dallo stress sulla nascita e sulla morte delle cellule cerebrali e il ruolo delle reazioni infiammatorie allo stress.

Secondo i ricercatori, lo stress cronico va considerato come un fattore chiave nello sviluppo della depressione. Le esperienze stressanti, infatti, danneggiano le cellule nervose dell’ippocampo (la struttura che interfaccia i problemi di apprendimento, le difficoltà di memoria e l’abbassamento dell’umore, sintomi che si presentano contestualmente nei soggetti depressi), portandole ad atrofizzarsi e innescando così un processo che causa alterazioni psicologiche dalle quali possono avere origine disturbi neuropsichiatrici.

L’intento dello studio era quello di comprendere in modo più chiaro la fisiopatologia della depressione e di metterne in evidenza i biomarker, le molecole presenti nell’organismo che indicano la presenza di un disturbo depressivo. Sotto questo aspetto, il team americano ha individuato una dozzina di biomarcatori, come i regolatori delle monoamine, i mediatori dell’attività glutaminergica e dell’attività GABAergica, i regolatori della neurogenesi e le citochine proinfiammatorie.


A partire da questo studio, sarà possibile iniziare a tracciare un percorso che porterà alla messa a punto di farmaci di nuova generazione per il trattamento della depressione. Tali farmaci saranno probabilmente destinati a sostituire quelli attuali, efficaci nella riduzione dei sintomi ma dotati di azione lenta e incapaci di invertire quei processi che possono determinare danni neurali consistenti, come l’indebolimento progressivo delle connessioni sinaptiche tra i neuroni e la riduzione della funzionalità delle cellule nervose, conseguenze, queste ultime, che vari studi hanno associato appunto alla depressione e allo stress.

di Giuseppe Iorio



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Una risposta

  1. 26 marzo 2014

    […] terapeutiche. Oltre che nei farmaci tradizionali, che presto potrebbero essere affiancati da quelli di nuova generazione, si può cercare una via d’uscita dal male oscuro nella psicoterapia, come pure nella […]

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