Brutti ricordi, una tecnica sperimentale potrebbe permettere di liberarsene

Intervenire sulla memoria per alterare i ricordi è un tema piuttosto ricorrente nella letteratura e nel cinema di fantascienza (e non solo, si pensi al gioiellino cinematografico creato dal regista Michel Gondry e dallo sceneggiatore Charlie Kaufman, “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”, struggente mix di lirismo romantico e immaginifici scenari “neuro-fantascientifici”).
Fino a poco tempo fa, la possibilità di cancellare o modificare i ricordi poteva apparire poco più di uno spunto interessante per scrittori e registi, non certo qualcosa di effettivamente realizzabile. E invece, alcuni neuroscienziati stanno effettuando delle ricerche per poter rendere concreta la speranza di ogni cuore infranto o di ogni mente devastata da un trauma: quella, appunto, di liberarsi dal fardello intollerabile dei ricordi spiacevoli e riprendere in mano le redini della propria vita; quasi come se la nostra mente fosse un computer dal quale si elimina il virus che lo aveva mandato in tilt.


Gli scienziati di cui si diceva sopra sono quelli del Massachusetts Institute of Technology (MIT ) che, sotto la supervisione del dottor Susumu Tonegawa, sono riusciti a invertire le emozioni collegate a ricordi specifici, rendendo in tal modo positivi dei ricordi sgradevoli.
Per ora, i test sono stati effettuati solo su modello animale, ma i neuroscienziati credono che i meccanismi che associano le emozioni alla memoria individuati nei topi coinvolti negli esperimenti siano indicativi di quanto accade anche nella mente umana.
La tecnica messa a punto dal team di studiosi americani si chiama “optogenetica” e permette di controllare l’attività dei neuroni attraverso la luce. In pratica, si interviene sul circuito che collega l’ippocampo, dove vengono incamerate le informazioni relative al contesto spazio-temporale dei ricordi, all’amigdala, area cerebrale nella quale vengono invece collocate le emozioni connesse ai ricordi. Alcuni studi precedenti hanno già dimostrato come la nostra memoria sia malleabile, anche per quanto concerne le associazioni tra ricordi ed emozioni. Ma, fino a oggi, non era stato ancora chiarito in che modo il contesto riguardante il tempo e il luogo di un ricordo fosse connesso alle specifiche emozioni relative al ricordo in questione.


Gli esperimenti condotti sui topi hanno permesso ai neuroscienziati di etichettare i neuroni che codificano un dato ricordo mediante una proteina sensibile alla luce, proteina che ha consentito loro di individuare le cellule dell’ippocampo attivate durante la formazione del ricordo. Gli studiosi hanno poi mappato i neuroni associati a un’esperienza positiva per i topi (l’accoppiamento) e quelli connessi a un’esperienza negativa (una scossa elettrica di lieve entità). Successivamente, il gruppo di ricercatori ha riattivato artificialmente i due ricordi e ha manipolato il circuito cerebrale che connette ippocampo e amigdala, così da rendere piacevole il ricordo negativo.

“In futuro”, sostiene il dottor Tonegawa, “potremo essere in grado di sviluppare metodi che aiutino le persone a ricordare le memorie positive più di quelle negative“.
L’obiettivo del team è quello di creare le premesse per la messa a punto di farmaci capaci di intervenire proprio sul collegamento tra ippocampo e amigdala, in maniera tale da aprire nuove prospettive terapeutiche nel trattamento di tutte quelle forme di disagio psichico connesse a ricordi particolarmente gravosi, come nel caso del disturbo post traumatico da stress e della depressione.

di Giuseppe Iorio



Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *