Con Twitter si può prevedere il rischio cardiovascolare

Di solito, per avere un quadro complessivo della salute cardiovascolare di una persona, si valutano fattori come l’indice di massa corporea o l’abitudine al fumo. Ma, oggi, in un’epoca in cui tutto passa attraverso i social network, evidentemente anche una mappa del rischio cardiovascolare può essere compilata tenendo conto dei dati presenti in Rete.
È quello che ha provato a fare un team di studiosi della University of Pennsylvania, che ha analizzato il contenuto di milioni di aggiornamenti di stato presenti su Twitter, i cosiddetti “tweet”. Le conclusioni dello studio sono state pubblicate sulla rivista “Psychological Science”.


Il gruppo di ricercatori ha individuato una correlazione tra il livello di rischio cardiovascolare registrato in una data comunità e quello che si potrebbe definire come lo stato d’animo prevalente della comunità, che emergeva in base all’analisi del tipo di tweet postati dai suoi membri, alla valutazione del carico di ansia e stress che costoro manifestavano nei loro interventi sul social network. Questo tipo di verifica intendeva anche mettere alla prova la validità di una vecchia teoria che ipotizza come il livello di rabbia e quello di serenità di una data comunità costituiscano degli indicatori affidabili dei livelli di salute degli abitanti della stessa.

Gli studiosi hanno dovuto esaminare, svolgendo ricerche per parole chiave e facendo uso di appositi algoritmi, quanto riportato in 148 milioni di tweet provenienti da 1347 contee degli Stati Uniti. Esaminando il linguaggio emozionale che caratterizzava le esternazioni dei vari membri di una comunità, è stata realizzata una mappa del rischio cardiovascolare. Comparando poi quest’ultima con la mappa che indicava il numero di decessi a causa di eventi cardiaci, si è notato che, tra le due mappe, esisteva una sovrapponibilità piuttosto sorprendente. Difatti, grazie a un grado di affidabilità oscillante tra il 36 e il 42%, questa mappa risultava più precisa rispetto alle mappe di rischio cardiovascolare elaborate tenendo conto di fattori convenzionali come fumo, diabete, obesità, reddito e grado di scolarizzazione.
Nelle contee in cui veniva registrato un grado di benessere psicologico maggiore, il rischio cardiovascolare risultava più contenuto rispetto a quelle i cui abitanti dimostravano di essere particolarmente soggetti a stress.


Lo studio appena descritto ci impone rapide riflessioni in merito all’utilizzo dei cosiddetti “big data”, ossia le tracce che lasciamo nell’uso degli strumenti informatici che adoperiamo quotidianamente, in ambito scientifico.
A quanto pare, i big data risultano utili anche sul piano sanitario, considerato che una ricerca di alcuni mesi fa dimostrava come Twitter potesse costituire un buon mezzo per monitorare l’avanzare del contagio dell’influenza e che altri studiosi hanno stabilito come anche l’analisi delle abitudini di lettura di Wikipedia da parte degli utenti potesse aiutare a prevedere la diffusione dell’influenza.

di Giuseppe Iorio



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