Internet è, senza ombra di dubbio, uno strumento di incalcolabile valore per quanto concerne le possibilità di informarsi e ampliare le proprie conoscenze in merito a qualsiasi argomento, dalla fisica quantistica alle ricette. Tuttavia, bisogna sempre tener presente che l’uso di questo straordinario mezzo non è privo di effetti collaterali: problemi di dipendenza, aumento di ansia e stress, rischio di andare incontro a sintomi di depressione, specie per gli utenti più giovani che trascorrono troppo tempo online.
Alla lista dei problemi appena descritti, va aggiunta anche la tendenza degli internauti a sovrastimare le proprie conoscenze in campi che richiedono una preparazione accurata e specifica. Un esempio lampante in tal senso è quello di affidarsi ai motori di ricerca per trovare caratteristiche e sintomi del proprio stato di malessere e poi, dopo aver letto due o tre pagine web, procedere con un’autodiagnosi, bypassando il parere di medici e specialisti. Un fai da te piuttosto pericoloso, come segnalato tempo fa anche dall’Ordine dei Medici: a diagnosticare una patologia e a somministrare la terapia adatta dev’essere solo ed esclusivamente il medico di base o lo specialista. Insomma, informarsi sì, perché ampliare il proprio bagaglio di conoscenze non può che costituire un vantaggio. Ma tutt’altra cosa è credere che basti qualche ora di ricerche su Google per diventare “medici di sé stessi”.
Un monito, quello dell’Ordine dei Medici, al quale sentiamo di aderire con convinzione anche noi, dal momento che, in ogni nostro articolo o commento, invitiamo sempre i lettori a consultare un medico e affidarsi esclusivamente a quest’ultimo per qualsiasi diagnosi e forma di terapia.
L’inclinazione a sovrastimare la propria intelligenza e competenza su un dato argomento dopo essersi informati in Rete è stata al centro di uno studio realizzato da un team di ricercatori dell’Università di Yale, con sede a New Haven, nel Connecticut (Usa), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Experimental Psychology. Gli autori dello studio hanno sottoposto a test oltre mille persone, con l’obiettivo di verificare in che modo la fonte dalla quale si traevano informazioni per rispondere alle domande di alcuni questionari potesse influenzare la percezione delle proprie doti intellettive e conoscitive.
In sintesi, una parte dei soggetti coinvolti nei test aveva accesso al web per trovare le informazioni necessarie a fornire le risposte esatte, mentre un secondo gruppo di individui doveva far uso di strumenti tradizionali, quindi testi stampati. In seguito, si è esaminato il valore che ciascun partecipante ha auto-attribuito alla propria capacità di rispondere in modo corretto alle domande. E, come prevedibile, coloro che avevano usato internet si dichiaravano persuasi di aver acquisito maggiori competenze e di essere in possesso di un cervello più attivo rispetto a quanti avevano invece acquisito informazioni dai libri.
Già ricordati i pericoli derivanti da un eccesso di stima della propria conoscenza ricavata dalle ricerche online in campo medico, gli autori dello studio sottolineano che i rischi richiamati sopra valgono, più in generale, per qualsiasi settore in cui si assumono decisioni ad alto livello, a partire dalla politica. “In questi ambiti”, precisa il dottor Matthew Fisher, “è importante essere consapevoli delle proprie conoscenze e non presumere di sapere qualcosa che non si sa. Internet implica grandi benefici ma può rendere ancora più difficile raggiungere l’obiettivo di una conoscenza personale”.