I percorsi biografici di ciascuno di noi ci portano a considerare come più serene alcune epoche della nostra esistenza e come maggiormente burrascose altre fasi. Per molti, ad esempio, l’epoca delle scuole superiori riporta alla memoria un periodo irrepetibilmente spensierato, ma per tante altre persone potrebbe invece costituire un ricordo non così piacevole, magari perché segnato da scarso feeling con compagni di scuola e docenti o da prime esperienze negative nel confronto più profondo con il mondo esterno. Anche se non è possibile tracciare un quadro universalmente valido in tal senso, qualcuno ha pensato di intervistare un campione di persone molto esteso per fornire un resoconto del rapporto tra le varie età della vita e il rispettivo grado di soddisfazione.
L’idea è venuta ad alcuni ricercatori dell’Australian Institute of Family Studies, coordinati dal dottor David de Vaus e dalla dottoressa Lixia Qu, i quali hanno raccolto dati relativi al grado di appagamento nella vita di oltre 27 mila persone tra i 15 e i 90 anni. Gli intervistati dovevano assegnare un punteggio compreso tra 0 e 10 a seconda del benessere psicologico sperimentato nelle varie fasi della propria esistenza.
In base a quanto dichiarato dal campione, fino ai 15 anni prevale una certa serenità di fondo, che risulta però incrinarsi via via che ci si avvicina ai 20 anni. Del resto, la tarda adolescenza è notoriamente un periodo burrascoso. E la giovinezza non è da meno, tanto che non sorprende leggere che il declino della soddisfazione procede anche dopo il compimento dei 20 anni.
A stupire, probabilmente, è che questo calo dell’appagamento sembrerebbe procedere in modo graduale fino ai 35 anni circa, età in cui si presume sia sopraggiunto un grado di maturità e di esperienza tale da indurre a guardare il mondo con occhi più serafici. E, in virtù di quanto appena affermato, non desta minor meraviglia leggere le parole del dottor de Vaus, il quale afferma: “Le persone sperimentano un grado di soddisfazione stabile ma basso dai 35 anni fino ai 50 o poco oltre, attraversando il periodo di minor appagamento nel corso della vita”.
A questo punto, viene da chiedersi come mai tra i 35 e 50 anni si viva peggio che in altre fasi. La spiegazione degli autori indica la causa di questo malessere nello stress derivante dalle maggiori pressioni su vari piani.
Difatti, dal punto di vista familiare, possono esserci bambini da allevare, oppure separazioni e divorzi da affrontare (sono, infatti, gli anni in cui la fine di un matrimonio o di una convivenza risultano più probabili).
Sul piano economico e lavorativo, invece, ci può essere il mutuo da pagare, degli eventi significativi per la propria carriera professionale ma pure il terrore di perdere il posto di lavoro o la difficoltà a coprire senza problemi le spese di sussistenza della propria famiglia.
Però, proprio dai 50 anni in su, e fino a poco meno di 70 anni, viene rilevato un crescente incremento della soddisfazione, che si stabilizza poi su valori alti fino agli 80 anni e poco più, tanto che gli autori definiscono questi anni come l’età con il più elevato grado di soddisfazione della vita. Insomma, stando alle conclusioni degli studiosi australiani, la massima serenità si raggiungerebbe a partire dall’inizio della cosiddetta “terza età”.
Dopo gli 80, infine, si registra un calo del livello di appagamento, evidentemente dovuto al fatto subentrano condizioni di salute più critiche, malattie, morte del partner, quindi una serie di circostanze che inducono a riflettere sul fatto che la propria esistenza sta volgendo al termine.
di Giuseppe Iorio