Molto probabilmente, avrete sentito parlare della cosiddetta “regola dei 5 secondi“. Questa regola stabilisce che, se del cibo cade a terra e lo si raccoglie entro 5 secondi, lo si può mangiare senza correre rischi, perché i batteri non hanno tempo sufficiente per contaminarlo.
Ma cosa c’è di scientifico in tale regola? A dare una risposta a tale quesito ci ha pensato il noto quotidiano inglese The Guardian, dove è apparso un articolo in cui venivano descritti alcuni studi relativi a questo tema.
La prima ricerca che ha indagato sull’attendibilità di questa regola venne realizzata da Jillian Clarke, una studentessa americana che partecipava a un laboratorio di microbiologia della University of Illinois, negli Stati Uniti. Nel 2003, la Clarke, in collaborazione con alcuni colleghi, ideò un esperimento. Dopo aver contaminato delle piastrelle, alcune lisce, altre ruvide, con il batterio Escherichia coli, vi furono poggiati dei biscotti e delle caramelle gommose per 5 secondi. Analizzando poi il cibo esposto, si appurò che gli alimenti erano effettivamente contaminati dal batterio, e che il contagio risultava più rapido quando il cibo veniva sistemato su un piastrella liscia rispetto a quando, invece, veniva adagiato su una piastrella ruvida.
Il quotidiano inglese ci rivela poi un aspetto secondario, se non bizzarro, dello studio in questione, informandoci che l’autrice dei test scoprì anche come le persone tendano a raccogliere più spesso un biscotto caduto a terra che non un cavolfiore. Non vengono fornite note esplicative riguardo a questa conclusione, quindi possiamo liberamente evincerne che, ai più, l’idea di gettare via un dolce possa risultare più spiacevole rispetto a quella di rinunciare a della verdura. In alternativa, è possibile che i cibi più solidi vengano considerati maggiormente in grado di opporsi all’azione contaminante dei batteri rispetto a quelli dotati di minor consistenza.
Qualche anno più tardi, nel 2007, il professor Paul Dawson, docente di Scienze Alimentari presso la Clemson University, nel South Carolina (Usa), pubblicò uno studio sulla rivista “Journal of Applied Microbiology”. Dai test compiuti, l’esperto americano osservò come, più che l’intervallo di tempo trascorso dal cibo sulla superficie contaminata, a incidere sul rischio di contagio fosse il livello di pulizia della superficie stessa.
Nei suoi esperimenti, il professor Dawson utilizzò varie superfici, ossia un tappeto, un pavimento in legno e delle piastrelle, contaminandole con i batteri della salmonella. In questo modo, potè notare come il cibo a contatto con il tappeto attirasse solo l’1% dei batteri presenti, percentuale che saliva al 70% quando gli alimenti venivano adagiati sulle altre due superfici.
Infine, una ricerca realizzata dalla Aston University, con sede a Birmingham, Inghilterra, ha stabilito che gli alimenti vengono contaminati immediatamente dopo aver toccato il pavimento, anche se il tempo di permanenza a terra incide in modo significativo sul livello di contaminazione. Difatti, la quantità di batteri che si trasferiscono sul cibo nell’arco di 3 secondi può aumentare fino a dieci volte se l’alimento in questione giace a terra per 30 secondi.
In definitiva, la nota regola dei 5 secondi risulta priva di evidenze scientifiche a supporto. Anche un contatto brevissimo tra cibo e pavimento provoca una forma di contaminazione, la cui severità, come detto, dipende dal grado di pulizia del pavimento, dal tempo di contatto tra superficie e alimento e, infine, dal materiale della superficie stessa.
In linea di massima, dunque, e il suggerimnto vale ancor più se si tratta di bambini e persone anziane, il cui sistema immunitario è più vulnerabile, se il cibo cade a terra, sarà il caso di disfarsene, così da evitare qualsiasi rischio.
di Giuseppe Iorio