Come ben noto, vi sono alcune mutazioni genetiche che provocano determinate malattie. Tuttavia, esistono anche individui che, pur presentando la specifica variante genetica alla base di una data patologia, non hanno, per loro buona sorte, sviluppato la malattia in questione.
Lo studio del genoma di questi individui, definiti con una certa enfasi “supereroi genetici” da un articolo comparso sul sito di BBC News, potrebbe dunque risultare essenziale per scoprire quali siano i meccanismi che proteggono da una certa malattia, nella prospettiva di poter comprendere anche il modo in cui curare chi ne è invece affetto.
A tal proposito, è comparsa di recente sulla rivista “Nature Biotechnology” una ricerca realizzata da alcuni studiosi della Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York, coordinati da Stephen Friend, Ron Cheng ed Eric Schadt.
Gli autori dello studio hanno analizzato, tramite procedure di screening particolarmente complesse, il genoma di circa 590 mila persone, alla ricerca di soggetti che, appunto, fossero in possesso di geni “difettosi” ma non presentassero le patologie connesse a tali geni.
In questo modo, gli esperti sono riusciti a identificare 13 individui misteriosamente immuni dalle malattie che invece avrebbero dovuto presentare. Difatti, questi soggetti erano portatori di mutazioni genetiche alla base dell’insorgenza di 8 malattie gravi, tra le quali la fibrosi cistica, la sindrome di Pfeiffer e la sindrome di Smith-Lemli-Opitz.
“La maggior parte degli studi di genomica”, sostiene il dottor Schadt, “si concentrano sulla ricerca della causa di una malattia, ma noi vediamo enormi opportunità nel capire che cosa mantiene la gente in buona salute. Milioni di anni di evoluzione hanno prodotto meccanismi di protezione molto più numerosi rispetto a quelli che attualmente comprendiamo, e che potrebbero promuovere la salute in modi che non abbiamo ancora immaginato”.
Per poter svolgere ulteriori approfondimenti e comprendere meglio quali fattori abbiano protetto dallo sviluppo delle patologie i 13 soggetti individuati, gli autori dello studio avrebbero bisogno di entrare in contatto con queste persone, così da poter porre loro domande specifiche e poterli sottoporre a una serie di indagini supplementari.
Ma, sfortunatamente, i limiti relativi al consenso informato che regolamentava gli studi precedenti dai quali sono stati raccolti i dati esaminati dal dottor Schadt e dai suoi colleghi non consentono di rintracciare questi individui.
Dunque, ai ricercatori americani non resta che fare tesoro dei risultati già ottenuti e dare avvio a un nuovo studio prospettico caratterizzato da questioni di privacy un po’ meno stringenti, così da poter compiere un ulteriore, grosso passo in avanti nella cura di svariate malattie genetiche.
di Giuseppe Iorio