Quando si pensa alla società contemporanea, uno dei primi aspetti che sovvengono è rappresentato dai ritmi di vita frenetici. Non a caso, molti affermano che 24 ore non siano sufficienti per portare a termine tutti i propri impegni quotidiani, motivo per cui sarebbe ideale avere a disposizione un maggior numero di ore nell’arco della giornata.
Tuttavia, non essendo attualmente possibile rallentare il moto di rotazione compiuto dalla Terra attorno al proprio asse, né tantomeno dilatare o arrestare lo scorrere del tempo, una consistente percentuale della popolazione è costretta a correre continuamente da un posto all’altro, impossibilitata a fermarsi per riprendere fiato, a procedere con il passo lento e un po’ indolente del Flâneur, l’ozioso viandante che si diletta ad aggirarsi per le strade della città senza una meta precisa, osservando con distacco, senza fretta, la vita che scorre attorno a lui.
Ma se, da un lato, l’eccesso di compiti da eseguire genera un certo carico di stress, dall’altro, stando a quanto sostiene un team di ricercatori della University of Texas di Dallas, l’agendina fitta pare giovare alle prestazioni cognitive.
Lo Studio
La scoperta si deve alle dottoresse Sara Festini e Denise Park, autrici di una ricerca pubblicata sulle pagine della rivista “Frontiers in Aging Neuroscience”. Le studiose statunitensi intendevano verificare gli effetti negativi dello stress sulle funzioni cognitive. Per farlo, hanno reclutato 330 persone, di entrambi i sessi e con età compresa tra i 50 e gli 89 anni, fornendo loro un questionario utile a sondare le abitudini e le attività quotidiane di ciascun partecipante. Successivamente, i soggetti sono stati sottoposti a vari test per valutare le loro performance cognitive.
Esaminando i risultati, le dottoresse Festini e Park sono giunte a delle conclusioni piuttosto sorprendenti. Difatti, le due ricercatrici prevedevano di riscontrare punteggi più bassi nei test da parte delle persone maggiormente oberate dagli impegni e sottoposte a maggiore stress.
Tuttavia, lo scenario che è emerso dai dati raccolti è andato in direzione diametralmente opposta: erano proprio le persone più indaffarate, in maniera indipendente rispetto al livello di istruzione, a far registrare prestazioni migliori quanto a memoria di lavoro, rapidità nell’elaborazione delle informazioni, capacità logiche e ampiezza di vocabolario.
E il divario maggiore nei punteggi dei test tra persone molto occupate e persone con più tempo libero veniva fatto registrare dai soggetti più anziani, aspetto che le due autrici della ricerca considerano particolarmente interessante.
Necessarie delle conferme
“Già in passato”, commenta la dottoressa Festini, “alcune ricerche hanno dimostrato che rimanere attivi dal punto di vista fisico, mentale e sociale aiuta la mente a mantenersi efficiente negli anni e a tenere alla larga alcuni tipi di demenza”. Dunque, la necessità di dovere portare a termine un compito dietro l’altro potrebbe tenere la mente allenata, così da migliorarne le prestazioni.
Conclusione, quest’ultima, per la quale è comunque d’obbligo il condizionale. “Potrebbe anche darsi che le persone diventino gradualmente meno impegnate quando il declino cognitivo inizia a manifestarsi”, sottolineano le studiose. Oppure, c’è la possibilità che i soggetti più dotati sul piano delle abilità cognitive tendano ad avere più cose di cui occuparsi.
Pertanto, le autrici della ricerca svolgeranno ulteriori approfondimenti per verificare l’esistenza di un rapporto di causa-effetto tra numerosi impegni e prestazioni cognitive più brillanti.
di Giuseppe Iorio